Nella settimana trascorsa, nello Studio Ovale, deve essere risuonata più volte la bellissima canzone di Battisti "Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi". E mai colonna sonora fu più azzeccata per descrivere la strategia ormai consolidata di Trump: "escalate for de-escalate".
Tutto inizia con un annuncio esplosivo: dazi al 50% su alluminio e componentistica auto canadese. Un attacco frontale al secondo partner commerciale degli Stati Uniti, con un obiettivo dichiarato:
"Dobbiamo distruggere l’industria auto canadese."
Le reazioni non si fanno attendere: crollo del -4,5% per le azioni di Magna International, colosso canadese della componentistica, e aumento immediato dello spread tra il Canada 10Y e il Treasury USA a 70 punti base (+10 bps in un giorno). Ma poi, nel giro di 48 ore, la retromarcia: il 50% diventa 25%.
La spiegazione ufficiale arriva dal Segretario di Stato, Scott Bessent, ex hedge fund manager, che ai microfoni di Bloomberg cita Warren Buffett:
"The market is a voting machine in the short term, and a weighing machine in the long term."
Nel breve i mercati reagiscono in modo emotivo (vedi il crollo del Dow Jones -2,8% e la volatilità dell’S&P 500 VIX Index, salito oltre quota 21), ma nel lungo periodo premiano i fondamentali.
Per Bessent, i dazi creano instabilità oggi, ma nel lungo termine riequilibrano il mercato e spingono gli avversari a negoziare.
Ma qui viene il punto: negoziare su cosa?
Il vero problema di Trump per il 2025 non è l’alluminio canadese, ma i 10 trilioni di Treasury da rinegoziare nei prossimi 24 mesi. Con la Fed che ha interrotto il ciclo di rialzi e i rendimenti del 10Y USA ancora sopra il 4,3%, Washington ha bisogno di trovare acquirenti per il debito.
E qui entra in gioco la strategia: alzare la pressione sui partner commerciali per costringerli a comprare più Treasury in cambio di un allentamento delle tariffe.
La data chiave da cerchiare in rosso? 2 aprile, quando dovrebbero partire i dazi su beni europei. Se la storia recente ci ha insegnato qualcosa, è che Trump non ha intenzione di concedere tregua fino a quando non avrà raggiunto i suoi obiettivi.
Mentre a Washington si gioca a poker con i dazi, in Europa si parla di spesa pubblica.
Dopo settimane di negoziati, è arrivato il via libera dei Verdi al piano da oltre 500 miliardi di euro per infrastrutture e transizione energetica. Un voto fondamentale per ottenere la maggioranza dei due terzi, anche se l’opposizione di AFD potrebbe complicare il percorso, cercando di difendere l’ultimo baluardo del rigore fiscale.
Ma c’è di più: questa settimana ha visto l’annuncio del programma "Re-Arm EU", il piano della presidente von der Leyen per rilanciare la difesa europea.
Reazioni? I mercati si sono mossi subito:
Ma attenzione: non è tutto oro quello che luccica. Il piano, oggi, non è ancora definitivo e non ha impatto immediato, se non quello di creare nuovo debito.
Ecco i numeri:
Il ministro Giorgetti ha subito messo i piedi per terra: non basta stanziare miliardi, serve una razionalizzazione. Il problema? La frammentazione dell’industria bellica europea:
Senza un vero piano di integrazione industriale, il rischio è che l’Europa crei solo un nuovo buco nero di spesa pubblica.
La settimana ha visto una forte volatilità sui mercati, guidata dalle tensioni commerciali e dalle incertezze sulla politica fiscale europea.
Dati chiave della settimana:
Sul fronte obbligazionario, il rendimento del Treasury 10Y è salito al 4,3%, mentre il BTP 10Y ha superato il 4,7%, con il mercato che inizia a prezzare un rischio politico crescente in Europa.
La prossima scadenza da monitorare? 2 aprile: lì capiremo se Trump vorrà o non vorrà… ma se vuole, l’Europa dovrà prepararsi.