Il “gioco del pollo” iniziato la scorsa settimana vede, al momento, gli Stati Uniti i primi a sterzare. Dopo una settimana di paura e delirio iniziata con il famoso cartellone di Trump dove annunciava dazi ad ogni specie vivente (compresi i pinguini), questi ha dovuto fare marcia indietro già un paio di volte (moratoria di 90 giorni per tutti i Pasi tranne la Cina, esclusione dai dazi con il Paese del Dragone sui prodotti tecnologici). Inutile ripercorrere la cronistoria di questi 7 giorni che sembrano 70, anche perché la situazione è molto fluida e non sarà priva di colpi di scena. Concentriamoci piuttosto su alcuni argomenti più “alti” e di lungo periodo. Proviamo innanzitutto a capire perché Trump sta attuando questa strategia ma soprattutto che conseguenze si potranno avere sullo scacchiere globale dopo che il decennale americano sembra non essere più un “porto sicuro” per gli investitori.
Le due Americhe: “Wall Street vs Debiti su Debiti”
L’America dei diseredati:
o Chi non ha risparmi da investire a Wall Street (i lavoratori delle aree deindustrializzate, i meno istruiti) è alle prese con un costo del debito che arriva a incidere per il 10% del reddito disponibile (stime Citadel). E, considerando che le case negli Stati Uniti sono rincarate del 96% in termini reali dal 1980, mentre i salari sono cresciuti di poco oltre il 15%, la matematica non lascia scampo.
Questi sono il popolo di Trump (e soprattutto di JD Vance per chi ha letto il suo libro /visto il film “Elegia americana”). Questo il popolo che cerca a livello mediatico di imbrigliare trump con gli slogan e con l’assurdità di voler vedere tutti i prodotti americani “made in USA”
L’America di Wall Street:
Questi sono il popolo delle Elite che Trump critica accusandoli di non essere veri patrioti. Questi sono però anche i maggiori finanziatori del presidente oltre che il motivo della supremazia statunitense sullo scacchiere economico globale e motore del dollaro come valuta del mondo.
Perché i dazi non funzioneranno (e perché non serve un Nobel per capirlo)
Trump vuole spingere le industrie a rilocalizzarsi negli Usa, ripristinando i posti di lavoro persi. In fondo, era questo che i suoi elettori volevano (e che Joe Biden cercava di fare con altre strategie, come i sussidi del Chips Act o dell’Inflation Reduction Act).
Il problema, però, è che:
Un bel problema. E se poi la Casa Bianca è impegnata a “fare il muro” con tutto il mondo, rischia di restare imprigionata dietro alle proprie barriere tariffarie senza più via d’uscita dignitosa minando l’unica cosa che rende sostenibile il debito americano: la supremazia del dollaro come valuta di riserva globale. Trump ha più volte provato a spiegare la ratio economica dei dazi risultando come la fu sottosegretaria all’economia Laura Castelli e il suo “questo lo dice Lei” sulla relazione mutui/spread (https://www.youtube.com/watch?v=Z7f2imlR6xI)
Le risposte ai dazi
In questa partita a poker a livello globale sembra si stia iniziando a capire chi è il vero pollo. Un detto dice che sul tavolo verde se non capisci chi è il pollo, forse allora quello sei tu e gli Stati Uniti giovedi forse hanno iniziato a realizzare. Mettiamo da parte un attimo l’Europa che al momento sul tavolo verde da poker è distratta dal colore (green) e “giustamente pensa ad altre priorità”, concentriamoci sul vero professionista: la Cina. Dopo l’ultima escalation di Trump contro il dragone portando i dazi ad un numero random sopra il 100%, la Cina ha annunciato con aplomb British che non andrà oltre il 125% di dazi perché i toni stanno assumendo le caratteristiche di un “joke” e ogni valore superiore al 100% è antieconomico per tutte e due le parti. Oltre questa lezione di coerenza e compattezza strategica però, la Cina ha dalle sue parti un arsenale che può mettere in ginocchio Trump e accelerare cosi l’inversione di leadership a livello globale da parte della Cina. Xi ha dalla sua parte le seguenti armi che si dividono in convenzionali e atomiche:
Convenzionali
o Possibilità di svalutare lo yuan (che sta già facendo)
o Diversificare i clienti con altri Paesi scontenti dalle politiche americane
o Un sistema politico dittatoriale che permette risposta rapide e compatte senza subire pressioni interne. Cinico vero, ma in contesti come quello attuale non avere pressioni interne fa la differenza
Atomiche
o 750 miliardi di dollari di debito americano! In minima parte venduto giovedi scorso per portare il tasso decennale degli stati uniti oltre il 4.5%.
“E’ l’economia, stupido”
Al momento, l’attenzione generale è comprensibilmente concentrata sui dazi annunciati e sul loro impatto molto rilevante su mercati ed economie, mentre viene prestata pochissima attenzione alle circostanze che li hanno originati e, soprattutto, alle più grandi fonti di instabilità che probabilmente ci attendono. Non fraintendiamo: i dazi hanno un peso enorme e riconosciamo che siano stati innescati da Donald Trump; tuttavia, la maggior parte delle persone perde di vista le condizioni sottostanti che lo hanno portato alla Casa Bianca, dando avvio a queste politiche tariffarie. Allo stesso modo, sembra che venga trascurata l’esistenza di forze, ben più significative, che stanno guidando pressoché ogni dinamica—comprese le stesse guerre dei dazi. Il punto più importante e molto più ampio da tenere presente è che ci troviamo di fronte a una classica crisi dell’ordine monetario, politico e geopolitico dominante. Queste rotture si verificano solo una volta in una generazione, ma sono già accadute diverse volte nella storia, in circostanze altrettanto insostenibili. L’ordine monetario ed economico si sta spezzando a causa di un eccesso di debito esistente, un ritmo di crescita del debito troppo rapido e la presenza di mercati dei capitali e sistemi economici sostenuti in modo non sostenibile da tale debito. Il debito è insostenibile perché da un lato ci sono i debitori che ne accumulano troppo per finanziare eccessi (gli Stati Uniti), dall’altro i creditori (come la Cina) che già ne possiedono in grande quantità e che, per sostenere la propria economia, si affidano alle esportazioni verso questi debitori. Siamo di fronte a forti pressioni per correggere tali squilibri e, per riuscirci, occorrerà cambiare radicalmente l’ordine monetario.
Per esempio, appare incoerente mantenere grandi squilibri commerciali e di capitali in un mondo che si sta deglobalizzando, dove i principali attori non si fidano più reciprocamente sul fatto che:
Siamo in un tipo di “guerra” in cui l’autosufficienza diventa centrale. Chi studia la storia sa che, in momenti di forte sfiducia, si ripetono i medesimi problemi osservati ora. Il vecchio ordine, in cui Paesi come la Cina producevano a basso costo per gli americani mentre accumulavano debito pubblico statunitense, dev’essere rivisto. Tra l’altro, negli anni ciò ha portato alla crescente dipendenza degli Stati Uniti da prodotti importati e all’erosione del settore manifatturiero americano, con la conseguente perdita di posti di lavoro nella classe media. In una fase di deglobalizzazione, le interconnessioni (traffici di merci e capitali) si ridurranno, volenti o nolenti.
È evidente anche come l’enorme livello di debito del governo statunitense e il tasso al quale cresce non siano più sostenibili. (Chi fosse interessato, troverà analisi approfondite nel libro How Countries Go Broke: The Big Cycle). L’ordine monetario dovrà pertanto cambiare in modo significativo per ridurre gli squilibri e gli eccessi che si sono accumulati; siamo solo all’inizio di questo processo, con grandi implicazioni per i mercati dei capitali e, quindi, per l’economia.
Implicazioni operative
Trump ci ha ricordato cosa è la volatilità (E l’insider trading…) e quindi bisogna comportarsi di conseguenza. Sul mercato, come agli scout, non esiste buono o cattivo tempo ma buona o cattiva attrezzatura! Gli stati uniti si stanno quindi dimostrando un porto non più affidabile e sicuro, e la dimostrazione la si trova nel tasso decennale americano che sale al 4,5% con i mercati in caduta a segnalare che non sono più il salvagente in tempi di turbolenza. Se dovesse perdurare questa relazione (mercati scendono e tasso americano sale) allora bisogna iniziare a volgere lo sguardo altrove come porto sicuro. Dal punto di vista obbligazionario l’erede naturale è il Bund tedesco, che infatti si sta comportando molto bene in questa fase. Alzando però lo sguardo questo comportamento ci dice anche che i flussi dei capitali potrebbero sempre più abbandonare gli Stati Uniti verso, perché no, l’Europa.
In questa fase, quindi, potrebbe essere utile avere del Nasdaq in chiave speculativa per approfittare dei tweet positivi di trump, ma accumulare sui ribassi settori strategici e con alta generazione di cassa/dividendi nel vecchio continente: Utilities in primis ma anche Banche grazie al fatto che continuano ad andare bene (nonostante i timori di recessione) e distribuiscono dividendi nell’intorno del 10%.
L’Europa, nonostante le sua perversione per la burocrazia e per i green deal, potrebbe avere una occasione (non meritata) di carattere storico in questa fase. Ad esempio, in un mondo che sembra orfano del Treasury come bene rifugio, se si decidesse a sdoganare gli Eruobond potrebbe raccogliere il testimone del decennale americano. Peccato che però nelle riunioni condominiali dell’eurogruppo si discuta quante colonnine elettriche mettere nel palazzo e quindi perderà anche questo treno…ma solo perché non è ad idrogeno!